L’opera ponte

Matteo Gaspari, Lorenzo Ghetti, Elisabetta Mongardi, Emanuele Rosso e Luca Vanzella bevono delle birre a stomaco vuoto e discutono di storie, narrazioni e generi nel linguaggio fumetto.

A cura di Lorenzo Ghetti

Lorenzo: Io sento una divisione nei nuovi autori su un certo tipo di scrittura. Persone cresciute con un certo tipo di fumetti che poi si abituano a scrivere quel tipo di fumetti. Forse è solo una questione di abitudine, o magari è una questione di distinzione tra fumetto popolare e fumetto autoriale.

Luca: È che nel fumetto popolare devi fare quella cosa epicurea, mediata, che devono tutti capire… si deve capire tutto, deve essere chiaro. Invece per un graphic novel, per certa graphic novel almeno, questo non è un problema. Puoi fare una roba oscura tanto sono cazzi del lettore capirlo o no: io sono l’autore. Mentre di là io proprio non esisto, tu caro lettore devi essere portato per mano, anche se sei dal barbiere e non te ne frega niente.

Emanuele: Secondo me ormai si è come solidificato un certo standard, e l’autore che punta ad andare lì in qualche maniera si siede su quello standard. Non c’è neanche un tentativo reale di cambiare la cosa: questa è la formula, ha funzionato per sessant’anni, ora un po’ zoppica ma comunque continua a funzionare. Mi devo sbattere a trovar l’idea però una volta che padroneggio lo schema posso non dico mettere il pilota automatico, perché non è vero, però…

Elisabetta: È che non puoi andare dalla casalinga che mentre fa la lavatrice guarda La signora in giallo e dirle “ma perché oggi non guardiamo Twin Peaks?” Quella ti manda affanculo.

Lorenzo: Ok. È un linguaggio popolare che ha un certo format eccetera.

Matteo: Però ci stanno persone che fanno popolare e lo fanno super bene. Prendi per esempio Enoch e Vietti. Dragonero è una serie Bonelli fatta con tutti quei canoni lì, a episodi e tutto il resto, ma funziona.

Luca: Tra l’altro è uno dei pochi più o meno successi Bonelli recenti. Una serie che sta in piedi, di cui si fanno gli spin off…

Matteo: Appunto! Perché funziona! Io la leggo con molto gusto ma è super apprezzabile anche da chi legge solamente i Bonelli in spiaggia solo d’estate.

Emanuele: Si può fare però anche l’esempio di Mercurio Loi, che a quanto mi dicono non sta andando proprio bene bene. Io lo sto leggendo, è cominciato un po’ claudicante ma adesso a livello di scrittura è migliorato, i disegnatori sono buoni… È di qualità alta. Ma è un personaggio antibonelliano per scelta. Non succede niente, sono le sue divagazioni sul nulla, ogni volta su temi diversi. Che è affascinante, non sempre del tutto centrato… Ma è un tentativo di fare uno scarto rispetto allo standard bonelliano. Uno scarto anche troppo alto. Pur apprezzandola, e apprezzando un linguaggio più ellittico… mi chiedo: forse è troppo?

Elisabetta: A questo tavolo c’è troppa spocchia.

Emanuele: Me lo chiedo anche da lettore di Mercurio Loi. Forse è giusto che un determinato fumetto abbia un linguaggio semplificato in una certa maniera? Oppure La signora in giallo potrebbe avere un episodio diretto da Iñárritu?

Elisabetta: Bello!

Matteo: Ma secondo me non è una questione di semplificare, di tirare giù. È una questione di fare le cose con decenza. Tirare giù è prendere un albo che ha le virgole tra il soggetto e il verbo, che mi girano i coglioni e lo butterei dalla finestra. Quello è tirare giù. Dragonero è un buon esempio di come puoi fare una cosa fatta bene, ma che continua ad avere le caratteristiche per cui è pensato. Invece Mercurio Loi, ma anche Ut… che tra l’altro mi sa che è piaciuto solo a me.

Luca: Eh, mi sa di sì.

Matteo: Ecco. Quelli non è che cercano di alzare l’asticella, e poi funzionano o no a seconda dei casi. È che stanno vendendoti una cosa per un’altra. Vogliono fare i raffinati, ma forse non è il posto giusto. E questo senza metterci una gerarchia di merito. Invece per dire Lilith riesce bene. È comunque una narrazione pensata per essere fruita in un certo modo, per cui sta dentro a dei limiti, entro i quali fa comunque le cose per bene.

Lorenzo: Ma che esistano dei casi limite che riescono a fare da congiunzione tra i due mondi siamo perfettamente d’accordo.

Luca: Ma anche se prendi gli albi che gli escono bene di Dylan Dog, di Nathan Never, di Martin Mystère, riesci a trovare quel magico equilibrio…

Matteo: Guarda per esempio l’ultimo Dylan Dog di Bilotta, La macchina umana… quello sulle risorse umane. Era una roba bella.
Perché, per come la vedo io, sia quando la cosa autoriale è fatta bene che quando la cosa popolare è fatta bene, va bene per tutti quanti! Ma guarda La terra dei figli. Sarebbe stato un ottimo Bonelli.

Luca: Un ottimo Le storie. Sarebbe stata una figata, un albo che spaccava i culi.

Matteo: Ed è un altro esempio di una cosa che fa esattamente quello che deve senza però necessariamente fare il raffinato con la spocchia. La terra dei figli, come Dragonero, li puoi far leggere a chiunque, senza preoccuparti che uno è “autoriale” e l’altro “popolare”.

Luca: L’opera ponte però non si può veramente progettare.

Matteo: Non la puoi progettare però la puoi sognare.

Luca: La puoi sognare e puoi creare un ambiente editoriale che la aiuti a venire fuori.

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