I limiti dell’editoria tradizionale: un’intervista a Ratigher

Abbiamo intervistato Ratigher, creatore del metodo Prima o Mai e direttore editoriale di Coconino, oltre che autore con alle spalle una lunga storia nell’autoproduzione come nell’editoria, per riflettere sui limiti dell’editoria tradizionale e su alcune possibili soluzioni.

Inizio chiedendoti di Prima o Mai, anche se ormai ne avrai discusso mille volte in mille occasioni. Quali sono le caratteristiche del metodo e cosa ti ha portato a idearlo?

Innanzitutto non mi dispiace per niente parlarne perché mi sono reso conto che se non lo dici all’infinito anche il concetto più semplice non passa. Per esempio ho fatto anche io l’errore iniziale di descrivere il metodo come una specie di crowdfunding, mentre in realtà ora non sopporto più il fatto che venga messo insieme al crowdfunding. Che è un metodo bellissimo, però è molto diverso.
Il Prima o Mai è vendere un libro, in questo caso dei fumetti ma lo puoi usare per mille prodotti, per un periodo limitato di tempo su un sito internet. Quindi lo vendi per un mese, allo scadere del quale si stampano solo le copie vendute in quel mese, e poi non lo si ristampa mai più. Questo è lo scheletro, diciamo.

Il metodo, come si è visto con i progetti che ha proposto finora, ha funzionato. E anche bene, direi. Però non è del tutto estendibile su larga scala perché ha dei limiti che bisogna tenere a mente. Per esempio è difficile che possa funzionare per autori meno affermati, oppure c’è la questione delle ristampe…

Ci tengo molto a sottolineare i limiti di questo metodo, ma anche dell’editoria classica, perché penso che li abbiamo ignorati per troppo tempo. Anche nelle discussioni tra autori, anni fa, non ci si diceva quanto si prendeva per un libro. Oppure veniva fuori, però non ci si diceva: “ma che, siamo matti?”. Nel sito di Prima o Mai c’era una pagina che spiegava perché era nato il metodo e c’erano i numeri messi a nudo, in maniera anche sconcia. Credo che mostrare i limiti, anche di un metodo in cui credo, spinga gli altri a cercare di superarli e risolverli.
Perché è vero che il metodo ha dei limiti, però l’editoria… Il Prima o Mai è come prendere il proprio corpo e staccarsi le mani: riesci a fare tante cose, ma senza mani non riesci più a prendere gli oggetti. Ma la situazione in cui ci trovavamo e in cui ci troviamo ancora, nell’editoria dei libri ma anche dei fumetti, è che non riesci proprio più a muoverti. Hai i piedi, hai le mani, ma non sai che fartene.

In che modo siamo finiti in questa situazione?

Forse perché è un bel lavoro, perché fare queste cose è comunque una situazione di privilegio, ma secondo me soprattutto è mancata la consapevolezza: l’editoria ha regole che sono le stesse da molti, molti anni e non sono state messe in discussione. All’arrivo di internet si è cercato di attaccarlo all’editoria, secondo me dalla parte sbagliata, senza una vera analisi di cosa si poteva fare con la rete. E infatti non se n’è fatto praticamente niente. Quanti articoli sono usciti sulla rivoluzione degli e-book? Poi vai a vedere i numeri e sono più che risibili.

Dov’è che Prima o Mai ti permette di risparmiare? Se Prima o Mai paga l’autore più dell’editoria tradizionale, dov’è che i soldi non escono?

A forza di ragionarci non ho trovato una soluzione, però credo che il bubbone sia quello della distribuzione che sui libri, sia scritti che disegnati, si mangia il 60% del prezzo di copertina. E andava bene prima perché si vendevano più libri, perché le case editrici erano più ricche, perché ricevevano più sovvenzioni, perché la gente era più interessata… quindi comunque i soldi arrivavano. Non è che chi si è inventato la distribuzione sia cattivo. La dico così, in maniera un po’ bimbesca, perché a volte mi trovo a discutere come se Prima o Mai fosse una cosa da moralisti e non è così. Cerco solo di capire come riprogrammare l’idea di mercato. Comunque sì, il collo di bottiglia mi sembra essere la distribuzione, che è troppo “come era un tempo”.

Ma Prima o Mai non forza il lettore a partecipare al rischio d’impresa, se non dal punto di vista economico almeno morale, dandogli la responsabilità del successo di un dato progetto? Alla fine, se vuoi questa cosa devi investirci per forza ora, perché altrimenti non la vedrai mai più…

Secondo me non è giusto che chi legge debba partecipare al rischio d’impresa, da quel punto di vista non la penso come te: questo metodo qui non ti fa partecipare al rischio d’impresa perché io il libro lo faccio comunque, a prescindere da quante copie ne ho vendute. Se mi va malissimo e lo comprate in venti, il mio libro è bruciato e lo avranno venti persone. Però non è affare del lettore, lo deve comprare solo se gli interessa. Credo che il rischio d’impresa se lo debba accollare chi i libri li fa.
Non siamo una grande famiglia, tutti insieme… Quando appunto leggo di alcuni crowdfunding, che magari mi interessano anche, ho questa sensazione che mi vogliano trascinare dentro a una comunità. E mi puzza. Nel senso che io l’ho sempre vissuta così: compro dei libri di gente che stimo e non gli devo più di quello. Se fai un libro che mi piace, grazie. Non siamo amici. Tu hai fatto una cosa che a me fa star bene e io l’ho comprata. Siamo a posto così.

È che mi viene da pensare che se siamo in una situazione in cui un editore, per poter pubblicare, ha bisogno di limitare così tanto il proprio rischio finanziando parte di iniziative esterne o comprando progetti fatti e finiti, dei quali si sa se e come funzionano, come nel caso del rapporto tra Shockdom e Mammaiuto… allora forse l’editoria è davvero arrivata al punto di non poter esser più editoria.

In realtà secondo me no, perché è tutto cambiato rispetto a com’era prima. Mi è capitato di vedere tantissimi esordienti, che ancora non avevano fatto un fumetto, venir contattati da case editrici anche medio grandi.
Credo che il futuro sia che chiunque si avvicini ai mestieri creativi debba autoprodurre e autopromuovere in qualche maniera il proprio lavoro. Uno bravissimo ma timido avrà dei problemi, ci saranno comunque delle figure che lo andranno a trovare, ma non funziona più solo in quel modo lì. Il metodo Prima o Mai va meglio con qualcuno che almeno un pochino è conosciuto, ma anche pubblicare delle vignette online… si possono fare delle cose molto belle in una pagina sola, e può essere che questo lanci persone che non hanno ancora mai fatto una storia di sedici pagine.

Passando al tuo nuovo ruolo di direttore editoriale di Coconino, come cambieranno i rapporti di forza tra le figure del “Ratigher autore” e del “Ratigher autoproduttore”, se si può dire, ora che si aggiunge anche il “Ratigher editore” all’equazione?

Ovviamente la risposta non ce l’ho. È troppo presto. Comunque non credo che fare il direttore editoriale di una casa editrice possa cambiare le dinamiche del mercato o trovare soluzioni: continuo a pensare che Prima o Mai serva, sinceramente. Di questo sono veramente convinto: serve la convivenza di queste due cose e di altre cinque. Ci devono essere diverse realtà, diversi meccanismi, e ognuno deve giostrarsi i progetti in questa maniera.
Poi non posso dire niente di certo perché è ancora tutto troppo fresco, ma di sicuro alcuni aspetti del mio lavoro da autoproduttore cercherò di inserirli nella casa editrice. Ci saranno molte novità, più nelle dinamiche che nella parte artistica perché da quel punto di vista Coconino è una leggenda e quella linea va assolutamente mantenuta. Ma l’esperienza da autoproduttore può aiutare nel rapporto con la rete e anche nel proporre nuovi tipi di prodotti.
Prendo per esempio i poster a fumetti che sto facendo con Flag Press. Chiunque abbia fatto un banchetto di autoproduzioni ha visto che si vendono trenta poster e due copie del libro: il poster è molto più facile da vendere come formato, ma in questo caso è comunque un fumetto. In più i prezzi di produzione sono infinitamente più bassi di quelli di un libro e quindi puoi dare molto di più all’autore. Il giorno stesso in cui annunci un il nuovo poster sei già rientrato nelle spese e hai dato l’anticipo all’autore.

Secondo me questa è una tipologia di prodotto che si può aggiungere all’editoria classica, però bisogna essere onesti: non ti vendo i gadget o la fuffa. Ci dev’essere comunque un’idea di fumetto sotto. Si deve comunque partire dall’idea che noi facciamo fumetti e anche le cose che servono a far cassa, diciamo, devono avere una forte idea di fumetto.

E ribaltando il discorso? Perché abbiamo detto un sacco di cose belle sull’autoproduzione sottolineando i difetti dell’editoria tradizionale. Ma di sicuro, a parte l’ovvietà della distribuzione, cosa può dare indietro il sistema editoriale? Quali sono i suoi punti forti?

Bè, la cosa buona dell’editoria è… la casa editrice. Tutti quelli che fanno autoproduzione hanno letto dei bei libri nella loro vita, e la maggioranza di quei libri è fatta da case editrici. Il confronto con le diverse personalità del sistema editoriale, la professionalità della casa editrice è fuor di dubbio che siano una ricchezza, anche umana, da mantenere. Per esempio ora sto collaborando con Bonelli e la cosa che più mi ha convinto a entrarci è il contatto con un’industria del fumetto fatta di persone. Persone molto interessanti che sanno come si fanno i fumetti, che sanno promuoverli. Quelle cose non si possono perdere. Devono resistere le professionalità delle case editrici.
L’esuberanza e la spontaneità dell’autoproduzione funziona fino a un certo punto, poi comunque ti devi trascinare dietro tutto quello che già è stato fatto ed è stato fatto benissimo. La casa editrice mi sembra ancora la scelta più giusta per il fumetto. Però devono diventare più ricche. Senza entrare nei meccanismi turbo-capitalistici di produzione e produzione per campare di anticipi. A forza di nuotare nell’acqua alta a un certo punto affogherai. Sicuro.

2017-04-24T01:44:27+00:0010 / 04 / 17|Interviste, Numero 1: L'età dell'oro|0 Comments

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