Il peccato originale: un ritratto dei Nishioka Kyōdai

di Juan Scassa

Nel 1946 lo scrittore Fukunaga Takehiko, stanco di una produzione letteraria “provinciale”, spendeva sprezzanti parole verso la narrativa giapponese:
La maggior parte delle opere [narrative] descrive nel più piatto dei modi la vita di un popolo speciale chiamato giapponese che, in un luogo speciale chiamato Giappone, vive attorniato da costumi speciali noti come “giapponesi”.

(1946: bungaku kōsatsu [considerazioni letterarie], tratto da Fukunaga Takehiko: la vita, le opere di Graziana Canova in F. T., La fine del mondo, Marsilio)

Se volessimo mantenere lo stesso sguardo duro verso il mondo del manga contemporaneo, perlopiù stantio nella sua ipertrofica produzione, potremo giungere alle stesse considerazioni. Tuttavia ci sono anche nel mondo del fumetto autori, come Fukunaga Takehito nella letteratura, che riescono a scardinare le forme più consuete e dare un forte scossone a una narrativa ormai omologata fino all’esasperazione. Tra questi, un ruolo di rilievo lo hanno i Nishioka Kyōdai.
Nota preliminare: i fratelli Nishioka sono Satoshi e Chiaki; il fratello maggiore scrive le sceneggiature, mentre la sorella minore si occupa delle illustrazioni. Kyōdai in giapponese significa fratelli, ma se normalmente si scrive con i caratteri di fratello maggiore e fratello minore (兄弟), i due usano quelli di fratello e sorella (兄妹). Nelle traduzioni inglesi viene utilizzato il termine brosis, brother and sister.
Ma tornando alla loro produzione fumettistica, questa ha notevoli elementi che la contraddistinguono anche all’interno del cosiddetto fumetto alternativo, con scelte narrative che sono tanto radicali quanto sono peculiari le illustrazioni: non è messo in discussione solo il linguaggio del manga in generale, ma quello del fumetto in toto.
Contaminazioni occidentali figurative e letterarie inquinano le tavole dei Nishioka tanto che i loro fumetti si possono considerare diretti discendenti di una certa letteratura europea tra Kafka e De Sade, vuoi per un certo “sentire disperato” dai toni apocalittici, più vicini al tormento cristiano che all’illuminazione buddhista, vuoi per un “gusto libertino” tipico dell’esistenzialismo francese.

L’impostazione narrativa dei fratelli Nishioka, inesorabilmente coerente in tutta la produzione, è caratterizzata da un’intimistica prima persona che elimina i balloon in tavole dove, sotto il rigore di una composizione pittorica, si muovono efebi dai colli longilinei e dagli occhi vacui à la Modigliani. Il tratto naive di Chieko rende le ambientazioni luoghi universali, o piuttosto dei “non-luoghi”, dove in un palcoscenico da fiaba moderna si muovono personaggi-burattini, più o meno consapevoli di essere manovrati da fili invisibili. Sebbene nei primi racconti – come Shinkei (Nervi), Kangarū no matsuei (Il discendente del canguro) o Tsumibito (Peccatore), pubblicati nel 1989 sulle pagine di “Morning”, rivista seinen di Kōdansha – si può notare una certa immaturità nel tratto (anche se per nulla sgradevole), si intravedono già tutti i meccanismi narrativi della coppia: tavole dalla composizione illustrativa piuttosto che fumettistica, assenza di balloon e comunicazione tra personaggi, flusso di coscienza diretto del protagonista narrato in prima persona dai personaggi.

Una cifra stilistica del duo è di certo la presenza ricorrente di un certo tipo di protagonisti: giovani androgini fortemente introversi che si trovano a che fare con l’assurdità del mondo. C’è qualche eccezione, come Ōkami shōjo Lōra (Laura la ragazza lupo), ma principalmente il protagonista rimarrà un efebo dagli occhi vacui. Occhi che sono vacui perché, probabilmente, come scrive George Bataille ne L’ano solare (1927):
Gli occhi umani non sopportano né il sole, né il coito, né il cadavere, né l’oscurità, ma con reazioni differenti.

Gli occhi dei protagonisti dei Nishioka non sopportano la realtà in toto. Questi “efebi ciechi” non sanno affrontare il mondo: come marionette si struggono nel palcoscenico del fumetto nel cercare di rompere i fili che li manovrano, fallendo miserabilmente. Per approfondire questa visione pessimistica del libero arbitrio, dove l’uomo scopre l’orrore nel riconoscersi come mero burattino, si veda Conspiracy against the Human Race di Thomas Ligotti, che analizzando Michelstaedter giunge alla conclusione che
[…] nulla di questo mondo è che un burattino. E un burattino è soltanto un giocattolo, un insieme di parti tenute insieme per formare un simulacro di una presenza reale. In sé, non è nulla.
Ma non è solo una certa ricorsività nei personaggi ad essere una caratteristica fondamentale nella produzione del duo, ma anche un ritorno di temi e di situazioni: cannibalismo, femminicidio, infanticidio, incomunicabilità tra generi, ricerca del ventre materno. Nel leggere i racconti raccolti in Boku-Mushi (Io-insetto), Jigoku (Inferno) o Kokoro no kanashimi (Tristezza del cuore) – pubblicati precedentemente su “Garo” o “AX” – incappiamo molte volte in scene analoghe, poi ripetute anche nei romanzi più lunghi come il Bambino di Dio e Viaggio alla fine del mondo. La docente di letteratura francese della Gakushūin University Shōhei Chūjō individua e analizza questa ripetizione tematica (nella postfazione del Viaggio alla fine del mondo), interpretandola anche in chiave freudiana: il cannibalismo appare come necessità di assimilare ciò che si ama o si rispetta, lo squarciare il ventre delle donne gravide una ricerca della serenità dell’infanzia, un ritorno al tutt’uno con la madre.
Scena principe della produzione, in questo contesto, è il risveglio del protagonista che si ritrova con un senso di malessere e di smarrimento verso il mondo. Troviamo questo incipit in varie opere – dalla trilogia di racconti Boku ga koroshita mono (Le cose che ho ucciso) a Satsujinki P no noroi (La maledizione dell’omicida P) al già citato Jigoku – ma l’archetipo del risveglio proviene direttamente dalla tradizione letteraria europea, a partire da quello di Gregory Samsa ne La metamorfosi di Kafka. I fratelli Nishioka abbandonano i riferimenti narrativi della produzione manga nazionale e si avvicinano alla letteratura europea. E non solo a Kafka, ma anche alla letteratura erotica-filosofica di George Bataille (si veda, per esempio, il Sole Nero del Bambino di Dio), all’illuminismo deviato di De Sade, all’esistenzialismo maledetto di Cioran.

Non ho infatti citato in apertura le sprezzanti considerazioni dello scrittore Fukunaga Takehito sulla letteratura giapponese per caso: anche lui aveva un profondo interesse per la produzione letteraria estera tanto da sperimentare in gioventù con la poesia in rima, tecnica poetica praticamente assente nella tradizione giapponese. Inoltre Fukunaga cercò di descrivere il senso di straniamento del sé nel romanzo La fine del mondo, e, seppur con risultati molto diversi, ritroviamo lo stesso sentire apocalittico nel Viaggio verso la fine del mondo dei Nishioka. Il panorama nazionale di una società che sopprime l’individuo a favore della comunità, chiuso tra le proprie regole e canoni estetici, è decisamente troppo stretto per chi cerca di comunicare qualcosa di più universale.
I Nishioka fanno propria una poetica individualistica che è in totale contrapposizione con la ricerca dell’armonia sociale imposta dalla cultura giapponese, tingendo di dannazione dal sapore apocalittico i loro fumetti. Questo pessimismo cosmico dei Nishioka è qualcosa di assolutamente anomalo: per questioni socio-culturali i giapponesi fanno fatica ad accettare visioni esistenziali così cupe, così legate al senso di “peccato originale”, concetto totalmente estraneo alle tradizioni shintoiste. L’impostazione etica occidentale non sta bene a un popolo che più che fuggire il peccato rifugge l’“impuro”. Ne Il Bambino di Dio troviamo accentuate all’estremo la singolarità del protagonista (questo infatti “sarà punito” quando si apre agli altri), nonché una compiacenza dell’impuro (vedi ad esempio la coprofagia). Questa “compiacenza” non è come quella delle produzioni pornografiche, fine alla masturbazione e proprio per questo atto a disinnescare le pericolosità, ma una chiara scelta di ribaltamento dei valori costituiti.

Il Bambino di Dio è in questo senso la summa “ateologica” della non-etica dei Nishioka, nel quale il protagonista cerca di difendersi dall’assoluto relativismo della realtà con la ricerca dell’assoluta libertà. Una libertà che si gioca all’interno della coscienza di un personaggio alla ricerca del brivido ultimo e definitivo, della liberazione del sé da una morale insignificante, fino alle più estreme conseguenze (si veda il capitolo Buon compleanno sull’uccisione dei propri genitori). Questo racconto lungo non si chiude in una ritrovata pace dentro una tomba o nel grembo materno, come nel caso di altri, ma termina nella dissoluzione della patina che divideva il sé del protagonista dal mondo. La dissoluzione di questo involucro che lo teneva lontano da qualsiasi forma di empatia è l’errore fondamentale che lo porterà a compiere il passo falso finale. Anche se nella conclusione il “male” sembra sparito dalla Terra, una minaccia incombe sul lettore: non dobbiamo abbassare la guardia, perché come le feci che vengono quotidianamente defecate, l’oscurità interiore tornerà, ancora e ancora.

Dopo aver letto la produzione fumettistica dei Nishioka possiamo cercare di far finta di nulla. Possiamo credere che i loro fumetti siano innocui passatempi dal gusto macabro. Possiamo chiudere i libri e riporli nel ripiano della libreria. Ma se sapremo essere abbastanza onesti con noi stessi scopriremo che in noi qualcosa è cambiato: avremo maggiore consapevolezza del nostro male, dell’arroganza della nostra coscienza. L’opera dei Nishioka infatti non è fiction. Non è nemmeno “letteratura a fumetti”, per quanto cerchi di travestirsi con riferimenti colti. Non è “romanzo dell’io” né realismo magico. L’opera dei Nishioka è una parte dell’essenza dell’animo umano, quella più incomunicabile e oscura, ingabbiata nell’angoscia senza fine della vita. Non credo quindi di esagerare nel dire che il lavoro dei Nishioka non è qualcosa che si legge, ma è qualcosa che si vive.

Bibliografia essenziale dei Nishioka Kyōdai

Il bambino di Dio
2018, Dynit Showcase
Traduzione di Juan Scassa

2018-11-14T11:02:58+00:0011 / 11 / 18|Numero 3: ESTREMO, Ritratti d'autore|0 Comments

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