Lo specchio di Brian: un ritratto di Miguel Ángel Martín

di Alessio Trabacchini

No artist has ethical sympathies.
An ethical sympathy in an artist is an unpardonable mannerism of style.
Oscar Wilde, The Picture of Dorian Gray

Cat’s foot iron claw
Neuro-surgeons scream for more
At paranoia’s poison door.
King Crimson, Twenty first century schizoid man

Quando Brian arrivò in Italia erano gli anni Novanta. Lo aveva preceduto Psychopathia Sexualis, il Martín più nero, con la sua storia editoriale di denunce, sequestri e appelli, con le riflessioni sulla censura e sul rappresentabile, con la conferma della vecchia regola – forse non più tanto attuale – che alla condanna del senso comune corrisponde il successo nell’underground. Rispetto a Psychopathia, Brian the Brain era uguale e diverso. Insieme, rappresentarono uno shock che era tanto etico quanto estetico, smossero l’allora inerte stagno del fumetto italiano, travolsero i confini della nicchia riuscendo a infondere accenni di vita persino nelle acque morte dei fenomeni di costume. Fu subito chiaro a ogni lettore sensato e assetato – Martín riempì un vuoto, appagò bisogni reali – che leggere quelle storie era un invito e al tempo stesso una sfida. Un invito perché l’autore spagnolo è stato, fin dall’inizio, un maestro della comunicazione grafica e del nitore narrativo, uno sperimentatore discreto, la cui ricerca è tutta rivolta verso la sintesi e la chiarezza. Una sfida perché la purezza fanciullesca della linea conduceva a sondare gli abissi più bui, a esplorare i confini estremi del desiderio, dell’abiezione, del più impassibile sadismo. Figli diretti e dichiarati dell’industrial culture dei primi anni Ottanta – corrente che si basava su una progressiva, virtualmente infinita indagine dell’estremo, e nella quale l’aspetto musicale e quello visivo erano strettamente legati dalla stessa strategia di provocazione – questi fumetti ne proseguivano le intenzioni, ma con una freddezza e un candore senza precedenti. Perché scoprimmo allora che si può essere freddi e candidi, ed era questo che spiazzava sia i detrattori che i sostenitori di Miguel Ángel Martín, che li portava continuamente, gli uni come gli altri, fuori pista, mentre lui continuava tranquillo e sicuro per la sua strada. Era la percezione, chiara ma difficile da accettare, che nelle crude storie di tortura, omicidio, pedofilia, autolesionismo e massacro fossero assenti tanto il compiacimento quanto la condanna, che Martín riuscisse veramente a trattare qualunque tema o situazione come fosse mera informazione da processare e trasformare in oggetto estetico. Il risultato, sostanzialmente compiuto nelle prime tavole come nei successivi graphic novel, è lasciare il lettore senza guida a confronto con le sue pulsioni e le sue emozioni: la libertà e la responsabilità totali. Ci voleva coraggio, ma, grazie all’aiuto di Brian, lo trovarono in molti.

È probabile che di Brian the Brain sappiate già tutto. Ricorderete allora che la ragione del suo cervello esposto, metafora dell’intelligenza che “fa sempre paura”, sono gli esperimenti a cui la madre ha dovuto offrirsi per sopravvivere. Ricorderete gli amici – spietati o teneri, “normali” o “freak” –, gli incerti e intermittenti poteri. Forse non sapete invece che il personaggio era già apparso in una vignetta di Giorni Felici, serie realizzata per il quotidiano Cronica de Leon e in seguito raccolta in Italia da Coniglio Editore, brevi racconti “per bambini” in cui la “crudeltà” martiniana vibrava sottotraccia. L’epopea comincia proprio tornando a quella vignetta: Brian che viene presentato alla sua nuova classe.

Il mondo in cui Brian si muove è lo stesso degli altri fumetti dell’autore: un presente con qualche infiltrazione di futuro, sesso e tecnologia sono strumenti di potere, scienza e pornografia chiavi di lettura del reale.

In questo quadro, le sue storie sono più accettabili e più pericolose, perché stavolta, al posto della bianca uniformità del male, c’è un protagonista fragile e coraggioso in cui è possibile identificarsi, e in questo ambiente che si voleva asettico torna il fantasma dell’empatia. Brian vuole essere felice, ma non odia; accetta la dura, spesso orrida realtà delle cose, ma non lascia che questa lo cambi; sa soffrire e sorridere, mentre il mondo intorno a lui sembra raggelato nell’insensibilità. D’altro canto, la sua esistenza ratifica il mondo di orrori che lo circonda: se Brian esiste, e noi ci sentiamo o vogliamo essere un po’ come lui, anche tutto il resto è più reale, non è una provocazione intellettuale giocata all’eccesso.

Con Brian the Brain da adolescente, secondo capitolo della trilogia, sarà dunque a vostro rischio e pericolo che vi accingerete a specchiarvi, ancora o per la prima volta, nel suo mondo. Lo riconoscerete come vostro, vi sembrerà di esserci sempre stati, e sarà una strana sensazione. Ora, dopo la morte della madre, la sua casa sono i corridoi, le camere e i laboratori della BioLab, la multinazionale a cui “appartiene”. Sarà una storia d’amore, sangue, solitudine e perdita: un ironico, struggente racconto dell’adolescenza.

Una prima versione di questo articolo è apparsa come prefazione al volume Brian da adolescente (2013, Nicola Pesce Editore).

Bibliografia essenziale di Miguel Ángel Martín

Brian the Brain
2016, Nicola Pesce Editore

Brian da adolescente
2013, Nicola Pesce Editore

Total Overfuck
2016, Nicola Pesce Editore

Surfing the third wave
2017, Nicola Pesce Editore

Rubber flesh
2018, Nicola Pesce Editore

Cannibal Holocaust 2
con Ruggero Deodato
2018, Nicola Pesce Editore

U.D.W.F.G.
2014-in corso, Hollow Press

outERoticspace
con David Genchi
2018, Hollow Press

2018-12-05T11:27:04+00:0005 / 12 / 18|Numero 3: ESTREMO, Ritratti d'autore|0 Comments

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