Brucia

scheda di Lorenzo Ghetti

Cos’è, poi, l’ordinario? Niente è ordinario, normale. Tutti abbiamo sperato disperatamente, in diversi momenti della nostra vita, di non essere normali. Di essere speciali e unici. Quindi? Se  siamo normali noi, non lo sono gli altri, e viceversa. C’è la normalità del tabaccaio all’angolo, quella del professore universitario e quella del corriere Bartolini. Se osserviamo quindi una normalità di un mondo lontano dal nostro, proviamo noia? Indifferenza, o meraviglia?

Brucia di Silvia Rocchi, ovviamente, non vuole parlare di questo. Ma fa una scelta forte, nella sua leggerezza, su come farci vedere la vita normale di una piccola comunità di paese. Dico leggerezza non per intendere superficialità o inconsistenza, ma un tipo di raffinatezza che non sfocia nell’aristocrazia. Rocchi non stimola il nostro interesse con la poetica evocativa di Reviati, né cattura l’attenzione con i dettagli nostalgici di Cattaneo. Non ne ha bisogno, e anzi vuole darci il suo mondo così com’è, a costo di farlo rimanere sospeso. Questo libro ci vuole dire “Guarda qua, osserva. No, non c’è niente di particolare da vedere, ma proprio per questo merita di essere guardato.”

Chi ha avuto la fortuna, come me, di seguire il percorso di Silvia Rocchi e del progetto TRAMA, da qualche anno concluso, conosce l’amore dell’autrice (e delle sue compagne di viaggio Francesca Lanzarini, Alice Milani e Viola Niccolai) per la rappresentazione di cose completamente normali e, forse, a una prima occhiata, un po’ noiose. Disegno dopo disegno, però, ti fanno scoprire uno sguardo diverso, e inizi anche tu ad amare una pineta mai vista o una casetta con un albero accanto, una macchina parcheggiata nel nulla o una famiglia in posa. Ti viene voglia di lasciar perdere questo intellettualismo urbano e andare a vivere in provincia.

Rocchi in Brucia si lascia andare ai dettagli, ai gesti e le strade di un paesino inventato che diventa reale segno dopo segno. Seguiamo le giornate normali di una scuola superiore, di coppie sposate e serate al bar in paese. E quindi? E quindi niente. È tutto lì. Una fotografia disegnata di un mondo lontano (?) ma quotidiano.

Ovviamente il libro non è tutto lì. C’è una storia, un rapporto forte quanto sottile tra un’operaia trentenne e un’adolescente borghese, figlia dei capi. C’è un’amicizia strana, distante in molti modi e forse proprio per questo indissolubile. E poi c’è la tragedia, la fine di quel mondo, l’impensabile. Ed è qui che la poetica dell’ordinario si fa sentire.

Se ci sono storie che rendono tragico il quotidiano, Brucia rende quotidiana la tragedia. Non vediamo Tamara e Maria affrontare i giorni successivi ad una catastrofe inaffrontabile, ma ci vediamo catapultati a quindici anni dopo, quando quella tragedia è diventata normale e le due protagoniste si ritrovano, a cercare di condividere il fuoco nero che ancora si portano con sé. Anche qui troviamo quella leggerezza di cui sopra: ovattata più che inconsistente, che ci porta a fare ancora più attenzione, un po’ spaesati per il brusco cambio di tempo e luogo, ad un nuovo esempio di normalità. Una scelta precisa, che nella sua delicatezza diventa pesante.

Apriamo un libro che si intitola Brucia, e leggiamo 160 pagine di pace sospesa, naturale e dai particolari tenui. Ci dà appena il tempo di sentire il calore, di vedere le fiamme, che tutto si spegne. O meglio tutto continua a bruciare, ma dentro.

Brucia
Silvia Rocchi
2017, Rizzoli Lizard

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